Mart - Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto
Intervista esclusiva con Luca Melchionna, collaboratore settore Comunicazione del Mart, che ci spiega la strategia 2.0 (Facebook, Twitter, Flickr, Social Tagging, Blog, ecc.) del Museo: un’avventura non priva di problematiche ma che si contraddistingue per una visione attenta dei nuovi strumenti web e delle opportunità che offrono all’attività museale.
Per chi non volesse leggere qui tutta l’intervista (molto dettagliata ed interessante), ho preparato un mini e-book dal titolo “L’avventura 2.0 del Mart” che si può sfogliare e scaricare da ISSUU.
Non perdetevelo perché rappresenta una bella testimonianza di utilizzo del web da parte di un’istituzione culturale italiana, di certo non una consuetudine.
Un ringraziamento a Luca per la disponibilità.
Il Mart è uno dei pochissimi musei italiani ad avere una così ampia presenza online, in particolare negli ambienti 2.0 (Facebook, Youtube, Flickr, Twitter). Quando e come è venuta l’idea che il museo poteva “vivere” anche in questi presidi?
E’ nata a fine 2006, come naturale evoluzione di un duplice processo. Innanzitutto un potenziamento globale di tutte le attività di comunicazione, incentrato su un grosso lavoro di ufficio stampa; il Mart è stato molto lungimirante, e ha creato un ufficio comunicazione di prim’ordine. Dall’altro, il rinnovamento completo di un sito web che era invecchiato troppo in fretta. La spinta finale è arrivata dall’arrivo al Mart di un “presidente tecnologico”, Franco Bernabè, e da un Consiglio di Amministrazione che ha posto degli obiettivi chiari per la comunicazione online.
La traduzione concreta di questi stimoli ha significato prendere consapevolezza che:
- nel giro di pochi anni la presenza sul web delle istituzioni diventerà un indicatore come altri di autorevolezza istituzionale. Piano piano tutti stanno capendo che l’idea che il web minacci l’autorevolezza dei musei è sbagliata.
- essere assenti dal web partecipativo è per definizione impossibile; non partecipare non significa affatto non esserci, ma piuttosto cedere ad altri il controllo sulla propria reputazione. Questo è un punto decisivo che risulta utile nella contrattazione delle strategie con i livelli alti della direzione museale
- I soldi seguono le innovazioni, anche in un mercato opaco come quello italiano. Stare fuori da questi processi incide sui bilanci traballanti dei musei. Non sono discorsi campati in aria: le aziende prima di dare soldi a un’istituzione vogliono capire se sa parlare ai suoi utenti. Perché le aziende vogliono utenti che non raggiungono, mica l’istituzione in quanto tale!
- è vero che i problemi di diritti e copyright sono notevoli. Ma è altrettanto vero che stanno cambiando le regole del copyright a livello internazionale, quindi stare fermi per paura di fare casino è una scelta comoda ma suicida. E’ meglio partecipare a una riscrittura delle regole che stare in disparte.
E’ stata costruita una strategia di intervento in questi presidi?(magari analizzando qualche best practice?)
Il tempo è poco, e ogni intervento va mantenuto, quindi le strategie sono essenziali. La soluzione più intelligente mi è sembrata quella di prendere spunto dai migliori (Brooklyn Museum), di controllare le discussioni di Museums & the Web, dei gruppi di lavoro dei professionisti del settore su LinkedIn, e di seguire alcuni blogger autorevoli, in testa a tutti Nina Simon. In base ai risultati di questa analisi abbiamo scelto alcuni interventi invece di altri, lasciando naturalmente anche un po’ di spazio per esperimenti episodici, senza i quali si perde entusiasmo. Mi pare che le regole chiave nel decidere su quale social network posizionarsi siano
- imparare a usarlo bene, a capire chi lo legge, che autorevolezza ha, quali sono gli interessi commerciali in gioco, in che fase di hype si trova. E’ un tipo di lavoro a cui gli addetti stampa sono abituati, anche se magari finora sono stati abituati a farlo solo per i giornali. I giornali bisogna non solo leggerli, ma anche “decostruirli” capendo chi li controlla, chi li legge, che peso hanno gli editorialisti ecc. Per i social network va fatto un lavoro simile, imparando a usarli. Non si può capire il web 2.0 standone fuori.
- Darsi un obiettivo. Quelli possibili sono tanti. Branding istituzionale, innovazione, comunicazione interna, comunicazione territoriale, gestione dei rapporti con professionisti e opinion-makers, comunicazione virale, allargamento dei gruppi demografici, redenzione dell’immagine istituzionale.
Avendo fatto la fatica del punto 1, sarà possibile capire quali sono gli obiettivi e quali gli strumenti adatti ai per raggiungerli.
E quali sono gli obiettivi che vi siete posti?
- Diventare il miglior museo italiano come qualità della presenza online
- Aumentare la conoscenza del patrimonio artistico del museo
- Sedurre persone autorevoli che orientano le opinioni di piccoli gruppi, e portarli al museo
- Allargare le modalità attraverso cui diffondere informazioni di servizio
- Raggiungere fasce demografiche escluse dalla nostra comunicazione perché troppo difficili da raggiungere con strumenti tradizionali da un museo
- Avvicinare l’istituzione alle comunità locali del Trentino Alto Adige
- Dare evidenza all’enorme lavoro fatto dal Mart per costruire rapporti con enti e aziende vicine, nazionali e internazionali
- Offrire più facilmente comunicazione in lingue diverse dall’italiano quando serve
- Dare visibilità a un patrimonio di documenti multimediali già presente al museo
- Dare visibilità e sfruttare la notevole rete di collaborazioni internazionali creata dal Mart in questi anni
L’attività 2.0 è compito esclusivo dell’ufficio comunicazione o c’è una partecipazione trasversale dello staff museale?
Come per ogni cambiamento, questo lavoro inizia da chi ha una visione, che poi (se è valida) viene fatta propria e condivisa da gruppi più ampi. I musei sono più lenti di altre istituzioni a cambiare, ma non è questo il punto. Per arrivare a una partecipazione trasversale bisogna lavorare con chi ci sta, indipendentemente dal fatto che si occupi di informatica, storia dell’arte o comunicazione. E bisogna avere fiducia nel fatto che le attività 2.0. per loro natura, incuriosiscono e affascinano. Al Mart questo processo graduale è iniziato: i nostri curatori, operatori della didattica e alcuni degli artisti coinvolti dal museo partecipano se stimolati, e qualcuno comincia a farlo anche spontaneamente.
Allargando la visione, la cosa curiosa mi pare quella che nei musei italiani non sono affatto gli informatici a spingere per usare strumenti 2.0 Molto spesso gli informatici che lavorano nelle istituzioni non hanno una vita digitale. Non che sia un obbligo, per carità. Queste cose non fanno parte del loro orizzonte umano e professionale. Fanno altre cose, gestiscono i sistemi, le macchine. Lamentarsi non ha senso. Anzi, io la vedo in positivo. Il campo è libero per i professionisti della comunicazione, che una volta formatisi adeguatamente, possono facilmente accreditarsi con competenze in questo campo.
Infine, faccio notare due fatti nuovi
- in Italia nel 2008-9 abbiamo assistito a un fenomeno nuovo, l’alfabetizzazione web di massa su facebook per milioni di persone che avevano saltato internet negli anni ‘90.
- l’esplosione dei contenuti web sui cellulari, in una nazione che ha il quasi primato mondiale della diffusione dei telefonini
Tutto questo per dire che i professionisti della cultura che si auto-escludono dal web, probabilmente non lo faranno ancora a lungo.
Gli strumenti 2.0 consentono un’interazione costante con il pubblico: molti musei internazionali hanno dato vita a progetti online in cui era l’utente l’attore principale (contest online fotografici o video, realizzazione di nuovi contenuti, votazioni, tagging, ecc.) Avete realizzato (o realizzerete) progetti User Generated Content?
L’idea di creare UGC c’è dal 2007. Stiamo lavorando lentamente su molte cose, tra cui sì, c’è anche il social tagging della collezione permanente. Com’è evidente a tutti, in questo caso abbiamo un problema che non è solo tecnico, ma anche di politica museale: accogliere i contenuti degli utenti, magari sul patrimonio, comporta una ricerca di nuovi equilibri molto delicati con curatori interni ed esterni, con gli archivisti (per chi ha una biblioteca), e naturalmente con la direzione. Il mio compito non è quello di elaborare e nemmeno di discutere le politiche museali, ma quello di attuarle. Avendo un direttore e un presidente lungimiranti, ho praticamente campo libero, ma i tempi di sviluppo non sono quelli rapidissimi del web. E in un certo senso, per fortuna che è così. La dittatura del presente fa male quando si programmano progetti ambiziosi.
Finora abbiamo quindi fatto esperimenti in contesti meno sensibili, come concorsi fotografici (con Claudio Abate), una promozione su Second Life, o iniziative per portare al museo qualche utente Facebook. Abbiamo poi una pagina per commentare le opere esposte. Anche la scelta di ospitare tre link a rotazione in homepage è un UGC, perché coinvolgiamo artisti, curatori, giornalisti.
Ci tengo a specificare che queste cose non ci costano un centesimo (o comunque un’inezia se paragonate ai manifesti per strada o agli spot delle mostre blockbuster di grandi fondazioni private), e richiedono ore-lavoro molto contenute da parte di dipendenti e collaboratori del museo. In compenso, hanno un alto valore aggiunto in termini di comunicazione.
La cosa più temeraria che abbiamo osato finora è il box Twitter in homepage, attivo da pochi giorni. Questo di fatto è portare UGC in un luogo sensibile, perché basta fare un retweet e un commento di un utente (o di un curatore esterno?) si trova in contesto istituzionale. Naturalmente per ora manteniamo un controllo editoriale totale sui tweets, ma in futuro delegheremo gli update a una cerchia più ampia.
Stiamo lavorando a tutte le novità. Non siamo impauriti, vogliamo gestire il cambiamento. Sceglieremo le migliori e le porteremo avanti.
C’è spesso, da parte dei responsabili museali, un po’ di paura nel condividere online dei materiali, soprattutto per questioni legate al copyright (penso alle collezioni su Flickr, o a certe video interviste su Youtube). Qual è la vostra esperienza in merito?
Mi sono reso conto che ci sono diversi tipi di paure, alcune giustificate, altre meno. In tutti i casi, sottovalutarle è suicida. Bisogna capire e valutare. La paura di infrangere il copyright e trovarsi a processo è molto seria. E’ folle fare i techno-optimist e non prenderla in considerazione. Invece, va portato all’attenzione di curatori e direzione il fatto di cui sopra, e cioè che le regole del gioco stanno cambiando. Ad esempio, può essere utile fare leva sull’esperienza altrui. Nel momento in cui il Brooklyn Museum mette online immagini su Flickr con la licenza Creative Commons, si possono coinvolgere i colleghi per ragionare con loro su come fare una cosa del genere nel contesto italiano.
Una seconda paura riguarda il timore di perdere autorevolezza e autorità. In questo caso, penso che molti dei timori siano ingiustificati. Proprio per questo, bisogna impegnarsi e spiegare che il web fa parte del mondo reale, e proprio grazie al 2.0 sta diventando *più* reale: ognuno ci mette la faccia, comprese le istituzioni. Quindi il web non è un contesto frivolo dove si perde autorevolezza: è uno strumento di comunicazione che si può usare per molte cose, compresa la tutela della propria autorevolezza. Un modo intelligente per spiegare queste cose a chi resta fuori può essere quello di porsi degli obiettivi intermedi. Ad esempio, se portare la propria collezione su Flickr è uno shock, si può pensare a portarne una parte in un contesto più “protetto” e “istituzionale”, come può essere Europeana.
Per quanto riguarda l’autorità, il concetto è completamente diverso. La mia opinione strettamente personale (quindi in questo caso non parlo come collaboratore del Mart), è che i musei in effetti debbano perdere un po’ di autorità, per il loro bene. Le cose stanno andando così, non c’è niente che possano fare al riguardo: la perderanno e questo farà un sacco di bene ai musei, ai visitatori, alle famiglie, agli artisti, ai dirigenti e ai critici. E’ evidente che la mia è un’opinione di minoranza, in qualsiasi museo italiano. Ma per fortuna nelle istituzioni culturali si può discutere e argomentare.
State progettando anche la creazione di un blog del museo?
Certo, da almeno tre anni! La scelta difficile è quella relativa al livello di controllo editoriale. Per molto tempo, abbiamo guardato, come modello ideale da imitare, ad Eye Level , che ha un livello piuttosto alto di controllo editoriale da parte della direzione. Poi ci sono venuti dei dubbi, e abbiamo valutato la possibilità di usare i blog per coinvolgere voci libere e partner a vario titolo del Mart. Ora stiamo lavorando in questa seconda direzione.
Concludendo, che riscontro avete dall’attività digitale?
Intendiamoci sul riscontro. Facciamo un discorso per analogia. In Italia si valutano i musei in base al numero di visitatori. Chi lavora nei musei e coi musei spesso rigetta questa visione, anche se non lo dice apertamente, perché l’obiettivo principale dei musei non è quello di attirare folle oceaniche, ma quello di promuovere la cultura. Le due cose si sovrappongono, ma solo fino a un certo punto. Chi abbassa il livello culturale e scientifico per attirare più gente, alla lunga la paga, e tradisce il proprio mandato.
Similmente, lo scopo dell’attività digitale di un’istituzione non è “portare gente al museo”. Certo, è anche questo, ma non è questo il punto. Il web è la realtà, non è una versione minore della realtà. Questa consapevolezza è difficile da assumere. Perfino sui siti web online dei grandi giornali nazionali italiani, le notizie che riguardano il web, ad esempio, vengono riportati non nella colonna delle notizie vere, ma nella colonna delle frivolezze (quella a destra su repubblica.it, per intenderci). A meno che non si parli di soldi, ma questo è un altro discorso. Quindi, per concludere, secondo me va fatto uno sforzo per capire che la qualità di un’attività digitale si misura prima di tutto sul web.
E in questo senso tutti gli indicatori che abbiamo, da Google Analytics ai social network, danno ottimi risultati. Non mi metto a fare numeri, ma le metriche sono ottime ,sia per numero che per qualità della partecipazione, e in alcuni casi (frequenza di rimbalzo, tempo medio trascorso sul sito) sono addirittura esaltanti.
In un secondo momento, è altrettanto evidente che il nostro lavoro consiste nel portare questi risultati all’interno della comunicazione a tutto tondo del Mart, e allora sì che bisogna lavorare per portare gente al museo. In ogni caso, anche se accettassimo la dittatura dell’auditel museale, siamo molto soddisfatti perché le analisi statistiche commissionate dal museo mostrano che i visitatori raggiunti e convinti attraverso il web sono in notevole aumento, sia in valore assoluto che in percentuale sul totale dei visitatori.
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